Botta & Risposta con Massimo Cianciullo

La storia della Cianciullo Marmi parte quattro generazioni fa. Che cosa ha caratterizzato le singole generazioni?

Verso la fine dell’800 il fondatore Antonio Baldi, diplomato all’Accademia delle Belle Arti, scultore e artigiano, si distinse per l’intraprendenza e la capacità imprenditoriale.

Nei primi anni del ‘900, fino alla fine della seconda guerra mondiale, c’è stato lo sviluppo dell’attività produttiva e commerciale, attraverso i suoi nipoti Bonaventura e Carmine Cianciullo.

Nella generazione successiva, contestualizzata negli anni ’60, guidata da Ugo Cianciullo, figlio di Bonaventura, si crea l’attuale azienda di Salerno, con una forte espansione dell’attività commerciale con l’allargamento ai mercati esteri.

La generazione attuale ha iniziato a guidare l’azienda a partire dagli anni ’80 con Paola e Massimo Cianciullo, simultaneamente al secondo boom economico, favorendo una espansione verso i mercati degli Stati Uniti d’America e verso i mercati Europei e il consolidamento del mercato nazionale.

Innovare per competere?

L’innovazione ha cambiato faccia; non è più la semplice scintilla imprenditoriale che fa di un manufatto un’opera d’arte in serie. Fare innovazione significa in primo luogo cambiare mentalità, acquisire disponibilità a rischiare per il nuovo, non adagiarsi sulle proprie ricchezze ma continuare ad avere dentro lo stimolo di costruire e di inventare. La Cianciullo Marmi, oggi come ieri e domani vive innovando.

 

Che cosa deve fare oggi un imprenditore per essere competitivo nel settore dell’architettura e dell’interior design?

Deve produrre bene, conoscere i processi produttivi e i costi di realizzazione del manufatto, deve distribuire meglio e deve sapere comunicare.

 

Quali sono le criticità di oggi?

La debolezza del settore è nelle due seconde fasi, la distribuzione e la comunicazione. Una comunicazione  che necessita di un aggiornamento permanente sia nel prodotto che nelle sue diverse forme. Una distribuzione che necessita di presenza capillare nei mercati di destinazione.

 

Produrre bene, cosa significa per chi lavora il marmo?

Il nostro modo di interpretare la produzione parte dalla ricerca e dalla selezione delle materie prime e si sviluppa con la competenza qualificata nell’assistere architetti e progettisti alla massima autonomia creativa nella realizzazione delle proprie opere.

Dal suo osservatorio come vede l’impresa italiana?

L’Italia ha bisogno di un futuro industriale che non arriva! L’impresa italiana è condizionata dalla globalizzazione e potrà emergere ancora, se punterà alla qualità, all’eccellenza e allargamento del tessuto produttivo. L’Italia imprenditoriale dovrà lavorare molto di più rispetto a ieri per raggiungere i livelli di benessere allargato a cui eravamo abituati.

Le soluzioni?

Penso sia  necessario rimettere in moto una capacità di spesa, bloccata dalla politica del rigore.

Cosa pensa del Made in Italy?

Da valorizzare con un progetto Paese. Il suo successo è riconducibile alla capacità creativa, al design alla qualità alla propensione imprenditoriale,  tutti valori intangibili capaci di soddisfare meglio degli altri i desideri non razionali, che prima era riconducibile anche a un costo del lavoro competitivo e alla posizione vantaggiosa sui cambi monetari. Il made in Italy ha subito tre attacchi: crescita del costo del lavoro (dal 2002 a oggi in Italia (più)+18% in Germania (meno) -8%) posizione di debolezza sui mercati monetari oltre alla crisi economica e finanziaria (2008) ha ridotto i consumi sui mercati tradizionali. Per uscire bisogna sostenere una politica industriale competitiva

La crisi?

Si scrive crisi, si legge trappola globale: un’economia impazzita, una macchina «regolata» solo dalla mancanza di regole, voluta da pochi speculatori e una sovranità impersonale del puro gioco di capitali.

Quale cambiamento vede?

Il cambiamento sarà molto lento con un percorso lungo. Ci sarà sicuramente una necessità di revisione di tutti i sistemi di welfare ai quali siamo abituati. Dobbiamo sperare che il sistema regga a questa nuova transizione. Il compito degli stati sovrani sarà quello di guidarla e accompagnarla senza che si determino traumi pericolosi.

L’Europa?

Oggi l’Europa si dimostra un aggregato di Nazioni dove le più forti, in particolare la Germania, esercitano la loro egemonia sulle altre. Sarà proprio la Germania e gli Stati più forti a essere costretti a rivedere le loro politiche economiche, per non rischiare un’implosione che possa danneggiare in primis la loro autonomia e quella dell’Europa. Necessario intensificare e portare avanti un processo di espansione oltre i confini europei.

L’auspicio?

de-costruire per ri-costruire partendo dall’economia reale. Questo ragionamento mi porta a sperare che si possa ancora costruire un futuro per il nostro Paese, sostenendo l’economia reale riequilibrandone i pesi con quella finanziaria. Il cambiamento sarà possibile nel momento in cui il mercato anche attraverso la politica, saprà superare le disuguaglianze distributive. Il sistema dovrà generare maggiore credibilità istituzionale, modernizzando il pensiero del Paese.

Il futuro?

È dei giovani, credo che sarà la generazione degli under 30 a cambiare il futuro. Li vedo li ascolto li stimo. Stanno crescendo con la sofferenza della precarietà, stanno crescendo con la voglia di cambiare e l’energia della loro stagione. Li trovo misurarsi su una competizione collaborativa che produce effetti positivi in un’ottica di ricostruire il nostro paese.